9 - Il tenore Hollywoodiano - G Luca Boschiero Website

Vai ai contenuti

Menu principale:

9 - Il tenore Hollywoodiano

Il mio idolo, tra i tenori, è stato Franco Bonisolli.
Il tenore italiano come se lo immaginerebbe un regista hollywoodiano degli anni ’50. Alto, longilineo, atletico, dalla folta chioma, tinta di nero, pettinata all’indietro. Bonisolli aveva presenza fisica, oltre che scenica. Noi manovali lo adoravamo. Spesso arrivava il pomeriggio, in bicicletta, direttamente sul palco dell’Arena. Si piazzava lì a sparare qualche gorgheggio di potenza devastante. Con noi era sempre gentile, salutava e si lasciava avvicinare perché, da grande narciso, adorava essere riconosciuto ed omaggiato. Quando non veniva in bici lo accompagnava una signora, piccola di statura e di stazza impressionante, con uno chignon di capelli biondi, talmente tirato, che le dava un aspetto esotico, grazie all’effetto occhi a mandorla. Girava voce fosse la moglie: una miliardaria texana. Il fatto che fosse miliardaria spiegava, ai nostri occhi, perché Bonisolli si accompagnasse a lei, e il fatto che i soldi gli avesse fatti in Texas, nel leggendario west, giustificava il suo aspetto, perlomeno, eccentrico.
Ebbi il piacere di conoscerlo personalmente durante la rappresentazione de Il trovatore. Durante la scena I, del IV atto, il tenore, Manrico, esegue una sorta di serenata, Leonora addio, da dietro le quinte, accompagnato da un arpa. L’arpa era posizionata, in realtà, al centro del palcoscenico nascosta da un porticato con archi a sesto acuto, della scenografia di Mario Ceroli. Per tutta la durata del quadro due portastrumenti dovevano stare nascosti là dietro. Visto che l’idea mi attraeva, mi accollai sempre l’incombenza assieme a un collega.
Mi piaceva stare là dietro, celato agli occhi di tutti, ad ascoltare la splendida aria di Leonora che precedeva la serenata di Manrico. Ritengo sia la pagina più bella scritta per un soprano. Ricordo ancora l’attacco del quadro: “Siam giunti, ecco la torre dove di stato gemono i prigionieri, ah l'infelice ivi fu tratto”. Cui seguiva la dolce voce di Leonora e io che l'ascoltavo cercando di vincere l'impulso di sbirciare, le reazioni del pubblico. Era allora che sopraggiungeva Bonisolli, con una della sue mele trentine in mano che sgranocchiava nell’attesa, perché, spiegava lui, facevano bene alla voce. L’ho perfino immortalato quel momento, in costume di scena e il frutto in mano.
Bonisolli, però, non godeva della stessa simpatia tra i colleghi. Era noto, infatti, per essere un indisciplinato. La sua forza era la potenza vocale, che ci teneva a dispiegare senza troppi fronzoli e, soprattutto, senza risparmiarsi. Era l’unico a concedere il bis, ad esempio. Cantata la romanza di punta e raccolti gli applausi a scena aperta, concedeva puntualmente la replica anche se non richiesta. Cosa che i direttori e gli orchestrali faticavano a sopportare.
Faceva di testa propria anche nei movimenti scenici. Ad esempio, in una Turandot, prima del Nessun dorma, vi è una parte per solo orchestra, durante la quale, secondo il regista, il palco doveva restare vuoto. La scena era solo per un gruppo di danzatrici impegnante in un balletto dal sapore onirico, cessato il quale entrava in scena Calaf/Bonisolli. Questa era l’idea, ma Bonisolli ne aveva un’altra. Lui in scena entrava addirittura prima che cominciasse il balletto, si sdraiava su una sorta di sofà al centro della scena e, come lo sceicco in un harem, assisteva alle danze che avvenivano attorno a lui. La sua espressione in quel momento era quanto di più comico si potesse immaginare. Non mancavo mai di assistere a quella pantomima; compresa la scenata del direttore d’orchestra, Nello Santi, al termine dell’atto.
Non si deve credere, però, che Bonisolli fosse una specie di macchietta, un pittoresco minus habens. In realtà aveva un’intelligenza acuta. I suoi non erano semplici colpi di testa, del tenore capriccioso. Aveva una tesi tutta sua, secondo la quale il pubblico areniano era attirato dalle forti emozioni e dai sapori decisi. Non chiedeva rigore filologico, ma sostanza. Lui trovava fuori luogo, in quel contesto, i formalismi. Diceva di fare i bis perché, dell’opera, solo un pugno di romanze il grande pubblico conosce ed è giusto fargliele godere. Nel Nessun dorma, all’epoca sigla delle trasmissioni televisive sul ciclismo, metteva tutto sè stesso, perché percepiva l’esaltazione del pubblico. Più volte mi sono ritrovato a dovergli dare ragione e penso proprio che Bonisolli interpretasse l’anima più autentica del teatro lirico che è nato proprio così, come teatro popolare. Rammento, sempre una sua Turandot, quando, nella scena finale, strinse la soprano tra le braccia piegandole la schiena all’indietro in una sorta di casquet (non era la Kabaivanska evidentemente…) e, a mo’ di idrovora, si produsse in un bacio alla francese che si prolungò per una decina di secondi buoni. Venne giù il teatro. Persino gli orchestrali batterono i piedi a decretarne il trionfo, il più difficile da ottenere.
Ho saputo dai giornali, che Bonisolli ha proseguito la sua carriera di bastian contrario in altri teatri e che, purtroppo, nell’ottobre del 2003 ci ha lasciati.
Hai miei occhi, resta il tenore areniano per eccellenza, nessuno ha saputo interpretare come lui lo spirito di quel teatro.

 
Copyright 2016. All rights reserved.
Torna ai contenuti | Torna al menu