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7 - La fanciulla del west

La fanciulla è l'opera più strana che ci sia.
Atipica la musica e atipica l'atmosfera che le aleggia attorno, come ebbi modo di constatare nell’estate dell’86. Come ho già avuto modo di spiegare, il retropalco, durante lo spettacolo, è un gran brulicare di vita. È un piacere lavorare in un ambiente così vivace e ben frequentato. Corifee, coriste, ballerine, il via vai di femmine graziosissime rende le serate areniane frizzanti e piacevoli da vivere. Fu, pertanto, con grande sgomento che appresi che La fanciulla del west avrebbe costituito un'eccezione alla regola. Infatti, da libretto, la storia ruota attorno alla passione di un gruppo di minatori in fregola, per l'unica femmina, presente nelle loro lande desolate nel vecchio west. Quindi la scena è occupata da upmini: cantanti, coro, un pugno di comparse e lei: la soprano.
Il mortorio che regnava nel retropalco durante i tre inesauribili atti della rappresentazione ve lo lascio immaginare. Angosciante. Atmosfera da sala d’aspetto della stazione. Non si riusciva a far trascorrere il tempo in nessuna maniera. Non c'era passeggiatina sul liston, torneo di briscola, lettura di romanzo, giro di bianchi al bar, che ci aiutasse a far trascorrere quelle 4 interminabili ore. Tra mezzanotte e l'una, invariabilmente, ci trovavamo sparpagliati, distesi sulle panchine, allineate lungo gli arcovoli, a fissare il vuoto.
Diciamo che l'atmosfera deprimente era acuita dalla partitura Pucciniana. La Fanciulla è l'opera di repertorio più originale che si possa ascoltare. Molte sue parti sono costituite da dei dialoghi fitti, praticamente, dei parlati, su una base ritmica; una sorta di rap ante litteram. Altrove vi sono echi jazzistici-dodecafonici alla Sun Ra, che annichiliscono. L’opera si rivitalizza solo verso la fine quando il tenore intona una classica romanza pucciniana, Ella mi creda libero e lontano, assiso a cavallo con le mani legate dietro la schiena e il cappio al collo. L’unico divertimento era assistere alle difficoltà della comparsa che doveva lanciare la fune col cappio facendola passare oltre un ramo sopra il tenore. I suoi ripetuti tentativi destavano sempre grande trepidazione tra il pubblico e anche in noi, che ogni volta, meschinamente, accorrevamo nella speranza che non ce la facesse.
Un po’ poco come emozioni.
Fu per questo che per la rappresentazione del 15 agosto, una delle ultime repliche, vi fu un vero e proprio ammutinamento. Alcuni di noi presero una risoluzione: evadere dall'Arena per trascorrere il tempo altrove e in modo più proficuo. Fatto gravissimo, non c’è bisogno che lo dica, che poteva costare il licenziamento in tronco. L’idea era quella di farsi rivedere giusto all'una, durante gli applausi finali. La nostra presenza, in fondo, era richiesta solo alla fine dello spettacolo non essendo previsti, durante i cambi di scena, spostamenti di strumenti. L'unico problema sarebbe sorto se fosse piovuto, ma il tempo era bello e alla Carega (el cor de Verona) c'era l'agognata sagra di ferragosto.
Così passammo la serata laggiù. In pratica, con tutti i manovali che quella sera dovevano trovarsi, come noi, altrove. Dimostrando una discrezione encomiabile, nessuno fece caso all'altro. Mangiammo, bevemmo, ci divertimmo e alla fine tornammo all'ovile senza far caso all’ora. Trovammo gli spettatori che sciamavano all'esterno. Mentre lo speaker che li invitava già a rientrare perché il secondo atto sarebbe ricominciato di lì a poco.
Qualcuno ebbe un'idea: perché non andare al cinema?
Intenzionati a non darci per vinti, partimmo alla volta dell'Embassy che dava un bel film con Marina Frajese, che si poteva vedere iniziato senza rischiare di fraintendere la trama. Quando ci presentammo alla biglietteria, la cassiera ci accolse con un sorriso: "Che opera danno stasera in Arena?". Allarmati, le domandammo su che basi potesse pensare che noi avessimo qualcosa a che fare con quell'ambiente. Lei si limitò ad indicare i nostri cartellini di riconoscimento che spiccavano sulle camicie azzurre della divisa. Non eravamo i primi, ci disse, e saltò pure fuori che aveva una figlia nel coro. Ci augurò una buona visione.
Uscimmo a notte inoltrata. Il film non c'era dispiaciuto anche perché introduceva un piacevole elemento di novità al classico triangolo lui lei l'altro, nel senso che l'altro era interpretato da un pony.
Quando facemmo ritorno il pubblico usciva, entrammo di corsa per liberare la buca ma di nuovo la voce ci avvertì che lo spettacolo sarebbe ripreso di lì a poco, cominciava il terzo atto.
Ci sdraiammo sulle panchine in attesa della scena dell’impiccagione.

 
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