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24 - L'arena soffre?

L’Arena, durante l’inverno, è un antico monumento romano che, come tale, si presenta agli occhi dei visitatori come nuda e scabra pietra antica. Da maggio a fine settembre, invece, si trasforma in teatro. Ciò significa che ogni anno si montano e smontano palcoscenico, platea e i posti a sedere della prima gradinata.
Da quel istante il vetusto monumento si trasforma in un grande cantiere. Un cantiere che, specie negli ultimi anni, ha assunto connotati sempre più invasivi. Sul lato esterno viene installato un’impalcatura di tubi innocenti che nasconde alla vista i due quinti della superficie. Nello spazio ricavato sulla struttura vengono messe le scenografie trasportate da una gru! Una gru stanziale che, montata nella strada alle spalle del palcoscenico, fa bella mostra di se per tutta la durata della stagione lirica. L’Arena è un cantiere soprattutto per le maestranze che ci lavorano e se il fatto che si tratti di sito archeologico non è tenuto in alcun conto da chi amministra ente e città, figuriamoci come possa esserlo per chi ci lavora.
Ho due vividi ricordi a proposito di questo argomento. Una mattina come tante, mi trovavo davanti al cancello 37 in mezzo all’abituale via vai di camion, muletti, e colleghi vocianti che cercavano di farsi largo nella calca trasportando ognuno il proprio pezzo. In un angolo, proprio a ridosso dell’anfiteatro, un paio di assistenti alla scenografia dipingevano di verde, con delle bombolette a spruzzo, le foglie di alcune palme finte, un po’ scolorite. Mentre erano intenti al loro lavoro, arrivò trafelato un ispettore richiamandoli immediatamente all’ordine, invitandoli a portare le piante all’interno e a finire l’operazione sul palco. Allibiti ne chiesero la ragione. Spiegò che aveva ricevuto una chiamata dagli uffici dell’Ente Lirico, al quale si erano rivolti protestando,gli impiegati della SIP che lavorano lì davanti (tutti ci giriamo in direzione del suo dito e, effettivamente, vedemmo un folto gruppo di persone, alla finestra, che ci osservava scandalizzato) lamentavano il fatto che stessimo dipingendo di verde l’Arena. Finalmente, ci rendemmo conto che i due, dando il colore, avevano tinteggiato abbondantemente anche le mura. Nessuno osò nemmeno bofonchiare improperi, all’indirizzo dei solerti impiegati SIP, ognuno cosciente che di tingere di verde l’Arena non era il caso. Fu la prima volta in cui ebbi la consapevolezza che la routine del lavoro, quel tipo di lavoro assimilabile a quello in un cantiere edile, ci aveva fatto perdere di vista il fatto che operavamo in un sito archeologico, da rispettarsi in quanto tale.
Ma fu un altro episodio a darmene la drammatica certezza. Un giorno, attendendo il camion, uno stagionale dei nostri, prese una sbarra di ferro, il gambo di uno dei pesantissimi leggii che stanno in buca. Annoiato, prese a sferzare l’aria con la sbarra. Dai e dai, finì col colpire la pietra dell’Arena. Questa si sgretolò subito e alcune schegge di roccia si staccarono. Il ragazzo stupito portò in rapida successione una serie di colpi sino a disgregare l’abaco di una colonna, a fianco del cancello 57. Furono parecchie le cose a sconvolgermi: primo: l’apparente noncuranza con cui quel tipo stava distruggendo un monumento antico; secondo: la nostra apatia nel vederlo in azione e, infine, la fragilità della pietra. L’anfiteatro realizzai sbalordito, con un po’ di pazienza e tanto olio di gomito poteva essere ridotto in briciole con l’aiuto di un pezzo di ferro!
L’Arena è una vecchia signora dall’aspetto di una montagna ma che, in realtà, mostra allarmanti segni di invecchiamento. Nelle giornata di pioggia, seduto nell’arcovolo, aspettando che il maltempo passasse, ricordo che osservavo con stupore l’acqua filtrare. Possibile, mi domandavo, sentendomi come Geppeto nel ventre della balena, che riesca ad attraversare quelle grosse pietre? In quei momenti vedevo il soffitto, al di sopra del quale stava il pubblico assiepato, farsi più incombente e la sensazione che potesse, improvvisamente, disgregarsi la volta di pietra che mi sovrastava, non mi sembrava più una ridicola fantasia.
Gli addetti alla sovrintendenza lo sanno bene. La stagione lirica dovrebbe avere un periodo di stop per dar modo ai tecnici di porre in essere radicali interventi consolidamento della struttura. Ma l’arena e la stagione lirica muovono milioni, flussi turistici, creano un indotto cui la città non può facilmente rinunciare. Allora, per fingere di accogliere almeno in parte le richieste della sovrintendenza, per un po’, nel recente passato, si sono prese decisioni demagogiche e insensate come impedire i concerti rock. Con la scusa che le onde sonore avrebbero potuto nuocere al monumento! Chi ha avuto una simile pensata ha idea, allora, di cosa significhi smontare e rimontare tonnellate di materiale tutte le sere per tre mesi consecutivi?
Oggi, purtroppo, dopo un intervento di lifting esterno, per l’Arena il carico di lavoro è raddoppiato e, scenografie sempre più elefantiache, richiedono per essere montate, addirittura l’utilizzo di una gru. Così l’arena da monumento romano si è definitivamente tramutata, nel periodo estivo, in un cantiere edile per edilizia teatrale prefabbricata, nascosta agli occhi dei passanti da scenari e impalcature.
Una sorte immeritata, per una vecchia signora, che tanto fedelmente ha servito la propria città.

 
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