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6- I dioscuri del campetto: Divo Suarez

Quelli del campetto
Quando Antonio Toma ha creato il gruppo e l’evento “Quelli del campetto”, tutti i “richiamati” hanno chiesto se Suarez fosse stato allertato. L’ho chiesto io, l’ha chiesto il Panchino Peterlin, l’ha chiesto il Rino… Siamo stati rassicurati, da Francesco Lozzi, Suarez ci sarà!
A quel punto mi sono chiesto perché Suarez avesse lasciato, in tutti noi, un ricordo tanto indelebile.
Suarez non era il più forte, non era particolarmente simpatico o loquace (credo di non averlo mai sentito parlare), non possedeva alcuna dote di leadership… e allora perché, a distanza di anni, risulta essere tanto benvoluto?
Intanto va spiegato che Suarez non era un ragazzo, come lo eravamo noi allora, era un adulto, un signore, un vecio in mezzo ai bocia. Si presentava al campetto in sella alla sua bici, addobbato con una tuta celeste e un cappellino dello stesso colore, sormontato da un piccolo pon pon. Arrivava e, ogni volta, con grande umiltà chiedeva se poteva giocare. Perché a lui quello importava: giocare. Il Vince La lumia ricordava, nei post del gruppo, che Suarez alla fine dell’Era del Campetto si presentava sul terreno di gioco accompagnato dalla figlioletta. A quel punto ho pensato, sbalordito, tra me e me: “È vero cazzo! Pensa te che a quell’età era ancora in grado di procreare!”. Poi ho fatto due conti e ho scoperto che se noi avevamo 14 anni, Suarez doveva averne al massimo 35! Era relativamente giovane, ma per noi era un anziano. Devo dire che la testa pelata, probabilmente, lo invecchiava. In estate Suarez era costretto a togliersi il cappellino, mettendo in mostra la piazza. Gli anni ’70 sono gli anni del pelo, dal colbacco di Giagnoni alla pelliccia di Maria Schneider, anche tra i calciatori c’erano i capelloni e i calvi erano rarissimi. Il più famoso era Luisito Suarez, centrocampista della Grande Inter. Da lì il soprannome del nostro uomo. A proposito: apprendo ora che si chiama Paolo Sancassani, lo dico per puro scrupolo, diffidando i membri del gruppo dal chiamarlo così.
Quando facevamo le squadre, Suarez si metteva nella sua abituale posizione, probabilmente mutuata da qualche manuale sulla Vita & le Opere di Bruce Lee, detta “Posa del fenicottero calvo”. La descrivo. Spalancava le braccia facendo il numero tre, con entrambe le mani. Poi le portava alla vita: pollice dietro, indice e medio davanti aperti a V, mignolo e anulare sempre piegati. Poi metteva avanti il piede destro, tenuto teneramente appoggiato al suolo, sulla punta. Quindi piegava il collo leggermente a sinistra, in un angolo di 45 gradi circa. Vederlo adottare quella postura incuteva una certa soggezione in tutti noi, specie quando l’assumeva prima di tirare un calcio di punizione. Ora che ci rifletto, penso che il suo destro fosse tanto potente proprio grazie alla posizione ergonomica data al piede. Non poggiando il tallone al suolo, il muscolo femorale riposava, permettendo a tutta l’esplosività incarnata in esso, di esprimersi a tempo debito. Una dinamica che andrebbe studiata dal Dottor Vettori e altri specialisti.
È evidente come la specialità di Suarez fosse il tiro dalla distanza, tiro che noi avevamo soprannominato “La Bomba”. Per motivi a me sconosciuti, nel calcio italiano di allora il tiro dalla distanza era merce rara. Non così in Europa, come i cultori della trasmissione Eurogol (condotta da Gianfranco De Laurentis e Giorgio Martino, in tarda serata su RAI2), ben sapevano. I gol da fuori area vennero ribattezzati proprio così: Eurogol. L’Italgol, evidentemente, era confinato in spazi più ristretti. Ecco: in questo senso Suarez può essere considerato un europeista ante litteram. Lui puntava agli eurogol. A dire il vero, viste le dimensioni del campetto, per segnare un eurogol, propriamente detto, Suarez avrebbe dovuto tirare dalla linea della sua porta, ma nessuno (neanche Mario) era tanto pignolo da faglielo notare. Attenzione: non è che Suarez fosse autorizzato a tirare ogni qualvolta gliene venisse voglia, anche lui doveva tenere a freno la propria vena, in nome dell’interesse collettivo. Ma talvolta, quando si apriva uno spiraglio tra le maglie avversarie (affermazione da prendere con beneficio d’inventario) eravamo noi stessi a spronarlo, allora si alzava il coro: “Laaaaabombaaaaaa” e Suarez faceva scattare il suo destro poderoso. Un tiro potentissimo, dal basso verso l’alto, a lambire la traversa. A volte la colpiva la traversa (specie con le nuove porte “ufficiali”, con quelle fatte con i tubi innocenti era più difficile), allora scattava l’ovazione. Per noi del campetto, infatti, colpire uno dei legni era più eccitante che segnare. Figurarsi al cospetto di un Eurotraversa.
Ma torniamo alla domanda iniziale: perché Suarez è tanto benvoluto?
Mi sono dato una risposta: perché era un adulto che stava assieme ai ragazzi senza “fare l’adulto”.
È noto che 3 sono le modalità con cui l’adulto si pone con i giovani: paternalistica, da maestro di vita, da amicone spiritoso.
Il paternalismo è la degenerazione dell’autorità genitoriale. È il rapporto tra il grande e il piccolo, tra chi sa e chi non sa, tra il forte e il debole, tra chi comanda e chi ubbidisce, ma gestito con quella che il gestore ritiene sia illuminata superiorità. Stranamente, il luogo in cui il paternalismo viene esercitato in misura massiva e continuata è la scuola e non la famiglia (più tardi il lavoro, se si ha la sfiga di finire in un’azienda che è “una grande Famiglia”). Ma sommando l’una e all’altra, quando un ragazzo esce per giocare non accetta che qualcuno gli scassi ancora la minchia. Suarez non fece mai sfoggio di paternalismo.
Il maestro di vita è come il paternalista, solo che a differenza del primo non esprime giudizi. Si limita a dire la sua. È il grillo parlante e, siccome in ogni ragazzo c’è un Pinocchio, la vocina che continua a sussurrarti come stanno le cose, bè… “anche no”… Suarez si asteneva da qualsiasi commento.
Infine il peggiore: il simpaticone. Quello che si mette sullo stesso piano dei ragazzi, quello: “Sono dei vostri”. Il giovane-vecchio. Nulla di più patetico. Suarez non puntava ad essere simpatico e non faceva nulla per essere amichevole. Non era un paraculo, era una persona discreta.
Tutto ciò lo osservo oggi, naturalmente, allora nessuno di noi realizzava che Suarez stava tenendo un comportamento esemplare, perfettamente consono alla situazione.
Suarez voleva solo giocare, voleva giocare con noi e per farlo chiedeva il nostro permesso.
Per questo si è guadagnato il rispetto di noi, ragazzi di allora, perché allora ci rispettava.
E questo oggi glielo riconosciamo.
Lode a te Suarez: Sensei della “Posa del fenicottero calvo”.
 
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