Se devo pensare ad uno spettacolo con i caratteri della straordinarietà, durante i miei 6 anni in Arena, penso a Zorba il greco di Mikis Theodorakis.
Intanto, per una serie di motivi oggettivi: uno spettacolo in prima mondiale assoluta, lo stesso autore della partitura a dirigere l'orchestra. Un balletto le cui coreografie erano del grande Lorca Massine e sul palco, nel ruolo di Zorba il leggendario Vladimir Vassiliev (in realtà che fossero grandi e leggendari io ancora non lo sapevo…).
Fin dall'inizio, fu chiaro il fatto che eravamo partecipi di qualcosa di speciale, unico.
A partire dagli orchestrali. Costoro, solitamente cinici e disincantati, talvolta più simili ad impiegati che ad artisti, così attenti all'orologio per vedere di non si sforare di un minuto, durante le prove di Zorba apparivano trasformati. Ora li vedevo concentrati, partecipi, motivati. Anche loro, evidentemente, subivano il fascino di Teodorakis.
Come chiunque di noi.
Da parte mia lo conoscevo per sentito dire. Sapevo che era comunista e che durante il regime dei colonnelli aveva patito grandi sofferenze per il suo ruolo di oppositore. Nella mia immaginazione lo immaginavo come il classico intellettuale di sinistra velleitario e borioso; come se ne trovano tanti in Italia e, a ben vedere, anche in Grecia. Una cosa tipo l'artefatta Melina Mercuri. Mi bastò vederlo la prima volta, però, per capire che mi sbagliavo di grosso. Intanto, si presentò alla prima prova areniana da solo; senza codazzo di cortigiani, usuale strascico di quel mondo (e non solo di quello).
Alto e robusto, quando arrivò, prese posto sul podio dando subito l'impressione di essere un individuo pacato ma con una grande padronanza di sé. C'è una sola parola per definire la qualità intrinseca di un simile personaggio: carisma.
Quando udii le prime note della sua composizione fui sorpreso. Sapevo che la partitura era una elaborazione di quanto composto per il film omonimo, interpretato da Anthony Quinn regia di Cacoyannis. Un film che ebbe un buon successo, ma non quanto il sirtaki che ne punteggiava le immagini. Preparato quindi a dovermi sorbire un'ora e mezzo di grotteschi motivetti ellenici, ancora una volta fui smentito nei miei pregiudizi. Si trattava di una partitura che rispettava tutti i canoni di quanto fino ad allora avevo udito in Arena. Poteva essere Puccini, privato degli orpelli, o Stravinski, a cominciare dalla overture, lenta e solenne, sorretta robustamente da un coro greco (nel senso che quelli del coro cantavano in greco!).
L'entrata in scena dei danzatori fu un'altra sorpresa. Innanzitutto i costumi: gli uomini vestiti da uomini e le donne da donne! Niente collant, tanga, chignon, sospensori, scarpette rosa; nulla dell'armamentario kitch del balletto classico che avevo visto sino ad allora. Pantaloni, camice, gilet. Persino le checche più grottesche sembravano ricordare, (quasi, insomma) dei contadini greci. L'altra sorpresa fu il modo in cui si muovevano sul palcoscenico. Nessuna fila, anzi, spesso si spostavano in gruppo per il palco in un apparente disordine. Il gruppo a tratti si disgregava o riarregrava per lasciare spazio ai solisti. Insomma la coreografia fu una folgorazione, per me, scoprii che c'era un altro modo di proporre la danza. Mi domandai, emozionato, se quella fosse la famosa Danza Moderna di cui sentivo parlare alle elementari dalle compagne (“Cosa fai oggi?”, “Vado a danza”, “Danza classica?”, “No, moderna”). Che, finalmente, mi trovassi a presenziare ad uno spettacolo centrato su quella nobile e occulta disciplina?
È difficile rendere l'idea dell’alchimia che si andava creando sotto l'impulso dell'aura Teodorakisiana, ma ognuno sembrava dare il meglio di sé.
Prendiamo Rosalba Garavelli. Rosalba all’epoca era la prima ballerina del corpo areniano. Una donna simpatica, gioviale, semplice, con una grande passione per i cani; almeno credo, visto che il suo pastore tedesco non l'abbandonava mai. Artisticamente parlando, il suo momento di gloria lo viveva in Aida, nei 10 minuti del balletto che precede il trionfo. La sua entrata in scena la faceva, in quel primo quadro, del secondo atto, uscendo dall'arcovolo centrale assiepato in quell’occasione anche dal coro e dall'orchestra di retropalco, oltre che da me che l’assistevo. Mi capitava spesso, in quelle circostanze, di incontrare il suo sguardo dietro la maschera di trucco marrone che faceva di lei una schiava etiope. Quanta routine, pensavo, in queste sue performance. Non si stuferà? Ma il destino aveva in serbo per lei un grande colpo. In Zorba le fu affidato uno splendido ruolo: quello della anziana prostituta, folle e disillusa, innamorata di Zorba. Così Rosalba ebbe la sua grande occasione di danzare in un ruolo di primo piano in una prima mondiale. E non se la fece sfuggire. La sua interpretazione fu memorabile, posso dire che mise molto di sé nel personaggio o forse il personaggio aveva molto di lei (professione a parte..). Sarebbe stato facile scadere nel cliché o nel macchiettismo. Lei riuscì, invece, ad evitarlo facendo della danza, che la conduce alla morte, il momento più lirico dello spettacolo. Vederla tenere il palco da sola, in quella maniera, nello spazio piccolo ma significativo che le era stato ritagliato, fu un grande piacere per tutti noi che, in fondo, le volevamo bene.
Mentre scrivo riascolto le note di Zorba il greco. La registrazione in mio possesso è quella ufficiale dell'Arena (tutti gli spettacoli, infatti, vengono registrati) della prima tenutisi nel 1990 quando lo spettacolo venne riproposto. Il finale è un indiavolato sirtaki che, sorretto da una indiavolata orchestra, acquista spessore e nobiltà.
Quella sera la ricordo bene.
Todorakis al termine dei continui piccoli bis che infiammavano il pubblico, finalmente salì sul palco per raccogliere l'applauso. A sorpresa il primo violino lo sostituì sul podio riaprendo le danze, cui partecipò anche il Maestro. La circostanza colse impreparato anche il fonico che aveva interrotto la registrazione per riprenderla, qualche secondo dopo, come dal nastro si intende chiaramente.
L'ultimo bis si chiude con una ovazione quale in Arena non ho mai udito.
Meritatissima.