Dopo accurata selezione il comitato organizzativo, preseduto da Antonio Toma, ha scelto il luogo del raduno e tra breve comunicherà la data dell’evento: “Quelli del campetto”.
Come atto finale della mia carrellata di ricordi, non mi resta quindi che omaggiare i nostri Castore e Polluce, ovvero gli Eroi del campetto: Nicola Cresto e Suarez.
Comincerò dal primo.
Cresto è il più forte, il miglior calciatore apparso al campetto. Magari ce ne sono stati altri bravi quanto lui o meglio di lui, Baffetti, ad esempio, era forte, come lo era Pietro Roy (che aveva fatto un provino con l’Inter!!!), o Ioio Ferlini… ma Cresto rappresenta l’archetipo del giocatore da campetto: fortissimo nel dribbling, veloce negli spazi stretti, capace di finte impossibili. Cresto era il virtuosista, poteva permettersi cose che nei campi a 11, battuti da arcigni macellai, non erano permesse. Non è un caso che quando lo sport del calcetto nacque ufficialmente, Cresto ne diventò un valido interprete.
Forse non tutti sanno che Cresto vanta il record di presenze consecutive al campetto. 3713 giornate, feste comandate incluse. Il record fu interrotto da un incidente spiacevole: rimase bloccato ne l’ascensore di casa. Ci rimase 7 ore, bloccato tra un piano e l’altro. Quando i pompieri riuscirono ad aprire le porte metalliche videro solo i suoi piedi. Stava palleggiando, utilizzando un improvvisato, pallone fatto con i suoi abiti appallottolati. Al loro invito ad uscire oppose un rifiuto, sostenendo di essere a un passo dal battere il suo record personale di palleggi. Fu prelevato con la forza e condotto alla clinica di igiene mentale Santa Giuliana. Naturalmente quella dei pompieri era stata solo una ritorsione, per fargli prendere un po’ di strizza. Ma quando il personale del nosocomio vide arrivare quel giovane esagitato, in mutande, che pretendeva di essere riportato a casa per il “record” (riferendosi, stavolta, a quello delle presenze consecutive al campetto) venne sedato. Fu solo grazie all’intervento dell’eminente luminare in psichiatria Professor Rosso Colletti (per intercessione del figlio Giovanni) che fu rilasciato. Ma oramai la mezzanotte era trascorsa e il suo record fissato nella pietra. Nessuno lo potrà mai battere.
Cresto il suo meglio non lo dava né in partita, né nei passaggi & tiri ma, bensì, nelle partitelle a una porta. Quelle, per intendersi, che si giocavano quando si era in troppi per i passaggi & tiri, ma non abbastanza per giocare a due porte. Nelle partite, vere e proprie, la parola più usata era “Passala” (naturalmente dopo “Tornate” o, se preferite, “Remeate”), quindi chi eccedeva nel possesso palla rischiava di non giocare più. Quindi Cresto non indugiava troppo con il pallone tra i piedi tranne, appunto, nelle partite a una porta, dove dava libero sfogo al suo talento, divertendosi come un matto. A quei tempi Michel Jackson era di là da venire ma, col senno di poi, direi che Cresto aveva le sue movenze. Non era solo il gioco di piedi a tradire il difensore avversario ma, soprattutto, le finte di corpo. Ancheggiava e roteava le spalle come il mitico Jacko.
Ho già raccontato come lo conobbi (il mio primo giorno al campetto) ma non ho detto che Dotto (quello di via Arsenale) mi sfidò per interposta persona. “Scommetto che non riesci a togliergli la palla.” Disse. Ricordo ancora la smorfia infastidita di Cresto, si sarebbe risparmiato volentieri quella inutile sfida. Io l’accettai e non ci misi molto a portargli via la palla. Mi resi subito conto che Cresto non si era impegnato più di tanto e ne apprezzai la scelta di non crearsi un nemico da una nuova conoscenza. Così, come sempre accade tra giovani maschi (ma purtroppo non tra i grandi…), nacque una solida amicizia basata sul reciproco rispetto.
Curiosamente le nostre vite si incrociarono in due occasioni rilevanti, fuori dal campetto. Io e lui avevamo in comune il fisico gracilino, tanto macilento da renderci entrambi rivedibili alla prima chiamata al servizio militare. L’anno successivo, ci trovammo entrambi alla visita che poteva decretare la nostra riformabilità, facendoci evitare la leva. Potevamo esibire numeri di tutto rispetto: io pesavo 54 chili ed avevo 83 cm di circonferenza toracica per 1,80 di altezza. Cresto 51 Kg, 80 di torace (a petto di piccione) ma 1.74 di altezza. Ricordo che con noi c’era anche Luca Trazzi il quale, estremizzando i principi dell’omeopatia, per un anno aveva assunto farmaci anti asma, facendosela venire. La faccio breve: io e il rantolante Trazzi fummo riformati, Cresto no. Ricordo ancora la sua espressione quando seppe di essere abile & arruolato. Si vocifera che la commissione medica avesse interpellato il Professor Rosso Colletti per stabilire, non già una inidoneità fisica, ma psichica del soggetto. Il Professore diede, invece, l’ok (senza interpellare il figlio Giovanni). A volte la vita è proprio bislacca! Comunque Cresto si dimostrò un egregio aviere, con una eccellente predisposizione ad eseguire gli ordini.
Lo rividi, in seguito, in un altro frangente altrettanto cruciale (per altri versi): il corso prematrimoniale. Da quanto ne so, a differenza mia, lui è ancora sposato. Il che testimonia la sua predisposizione a l’obbedienza.
Finisco con un ultimo aneddoto che, ne sono certo, non tutti i suoi estimatori conoscono. Cresto serbò a lungo un segreto che venne alla luce del tutto casualmente. Quando eravamo più grandicelli, avevamo preso l’abitudine di recarci al campetto in motorino, anche se a piedi ci avremmo messo meno tempo. Altra pessima abitudine era che posteggiavamo in mezzo alla strada. Una volta il proprietario della 127 che parcheggiava nel primo garage appena giù della discesa, quella che portava al cortile della casa dove abitavano i fratelli Barbieri (ma anche i fratelli Vinci, a ben vedere, e la madre di Paolo il tabaccaio e, ora che penso, Emilio Allegri), dette in escandescenze. Quando la situazione si normalizzò, e lui poté finalmente entrare in garage, Cresto osservò: “Certo che quello lì con la macchina verde ha fatto… un casino!”
Ci guardammo perplessi: “Quale macchina verde?”
Cresto impallidì: “Sì dai la 127.”
“Cazzo hai detto verde, è rossa…!”
“Sì, verde rossa, che differenza fa!” replicò con un’alzata di spalle.
A quel punto la cosa avrebbe potuto finire lì, e la partita sospesa riprendere. Ma le cose non finivano mai lì quando c’era di mezzo Mario. Mario Marzolo, l’ispettore Derrick (la madre era tedesca…) di via Cesare Abba. No, col suo fiuto da segugio egli aveva subodorato che qualcosa non tornava.
“E no!” intervenne prendendo tra le braccia il pallone. “Verde è una cosa, rosso è un'altra.” Vedevamo una luce livida brillargli negli occhi, al di sopra del ghigno malevolo che esibiva quando beccava qualcuno in castagna. Cosa mai aveva intuito Mario, che a noi era sfuggito? “Di che colora è la mia maglietta?” lo interrogò, con piglio che non ammetteva repliche. Mario al campetto indossava solo Lacoste, stirate con ceralacca, e dei più svariati colori.
“Verde” provò il povero Cresto. Purtroppo era arancione e, a quel punto, nemmeno noi potemmo far finta di niente. Come appare chiaro, ci aveva sempre tenuto nascosto il fatto d’essere daltonico. Per qualche giorno continuammo a chiedergli i colori, sfottendolo quando sbagliava, ma ben presto la presa in giro ci venne a noia. Non c’è niente di più tedioso, infatti, che prendere per i fondelli un daltonico. Oggi che sono maturato, invece, non posso che rimarcare il fatto che Cresto sia stato il Più Grande, NONOSTANTE l’handicap di cui soffriva.
Onore a te Nicola Cresto marito modello, ed esemplare aviere!
(Anche se, secondo Mario, era stato in finanza; sostiene che azzurro e grigio sia facile confonderli…)