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15 -Le bacchette

Prima di lavorare in Arena, come chiunque, dividevo i direttori d’orchestra in due categorie: quelli che danno le spalle al pubblico e quelli che lo guardano negli occhi. I primi sono maestri di musica classica, i secondi di musica leggera. A metà tra le due categorie ponevo Pino Calvi, il quale, è noto, dirigeva la grande orchestra di Senza rete, stando con il corpo e la bacchetta rivolti all’orchestra e la testa girata verso il pubblico. Pino Calvi soffriva di atroci torcicollo.
Come tutti, poi, consideravo i direttori di musica classica delle macchiette, così come immortalati, con le loro ridicole espressioni, in centinai di film, cartoni animati o semplici scenette. Devo, quindi, essere del tutto onesto, prima di lavorare in Arena mi ero sempre chiesto a cosa servisse un direttore d’orchestra. Non c’è uno spartito e dei musicisti che lo eseguono? Il direttore cosa fa? Finge di coordinarli?
Lo capii alla prima sessione di prove cui assistetti. Dirigeva, guarda caso, Daniel Oren, allora giovane promessa, oggi uno delle bacchette più affermate nel settore operistico. È nelle prove che si misura l’attività del direttore e con Oren, la natura e la qualità di tale intervento spiccava ancor meglio. È sua abitudine, infatti, mugolare accompagnando l’orchestra (talvolta, purtroppo, anche durante la rappresentazione); a seconda del grado di intensità o di incisività desidera venga data alla partitura, l’intensità o l’incisività del suo mugolio cambia. Per il profano come me, le sue continue interruzioni, picchiando sul leggio e gridando una sequela di no, apparivano misteriosi. Perché li ha interrotti? Mi domandavo, non stavano forse suonando benissimo? Così come il continuo far riprovare l’attacco della marcia dell’Aida alla trombe egizie. Non lo suonavano da anni e annorum oramai quel pezzo? Ora capivo molte più cose. L’Aida è sempre quella ma è come se ogni direttore ponesse l’accento su aspetti diversi della partitura. Non può riarrangiarla ma può focalizzare l’attenzione di chi ascolta su alcune tessiture rispetto ad altre. L’impressione che il direttore durante l’esecuzione non sia necessario, pertanto, è vera, ma il suo lavoro l’ha svolto prima, e per quante smorfie faccia, quello che esce dagli strumenti la notte dello spettacolo, non lo può più cambiare.
Se mi si dovesse chiedere quale è stato il più grande direttore d'orchestra da me incontrato in Arena, non avrei dubbi: Nello Santi. Grande per due motivi: la stazza e lo stile. Santi non è altissimo ma la conformazione dell'addome gli conferisce un aspetto mastodontico. È un direttore molto amato e rispettato in Arena, da tutti, indistintamente, perché preciso, puntuale e, soprattutto, rispettoso del lavoro altrui. Santi è un uomo di poche parole e di gesti parchi, anche sul podio evita di agitarsi, non lascia niente alla coreografia come alcuni suoi colleghi che amano dimenarsi come tarantolati, o dall'espressione del viso sembra stiano per raggiungere un orgasmo, da un istante all'altro.
Santi era considerato da noi portastrumenti il migliore anche per un altro motivo: era l'unico, a fine stagione, a darci la mancia. Un gesto che deve far cogliere la signorilità dell'uomo. In un mondo in cui anche star importanti ed acclamate elargiscono donazioni alla più scalcagnata delle claque, in cui l'unica filosofia e il do ut des, Santi elargiva noi, gli ultimi della catena della linea produttiva a lui demandata un obolo. Un modo di dire: lo so che ci siete e apprezzo quel che fate, per quanto infimo possa essere.
La grandezza di Santi oggi è riconosciuta anche dalla critica che l’ha posto tra i sommi Interpreti Verdiani, onorando il nostro beniamino con una lunga intervista.
Sono contentissimo per lui, ma quel riconoscimento l'Arena gliel'aveva già dato.

 
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