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1- Il campetto

Quelli del campetto
La chiamata di Antonio Toma a "quelli del campetto", ha risvegliato in me molti ricordi, tutti legati ai Selvaggi '70.
Mi sono trasferito in via Tonale nel 1976. La mia stanza, purtroppo, si affacciava proprio sul campetto. Se le mie sorelle avessero avuto quella stanza e io la loro, forse (forse) le cose sarebbero andate in modo diverso.
Accadde che un giorno mentre mi accingevo a "fare i compiti " (cosa diversa dallo studiare...) sentii qualcuno chiamarmi. Affacciandomi alla finestra vidi Dotto (mio compagno di classe) con Cresto, che non conoscevo ancora ma che avrei imparato ad apprezzare come il "re del dribbling stretto".
"Scendi a giocare?" Chiese Dotto. Per la cronaca parlo del Dotto cugino dei gemelli omonimi, quello che stava in via Arsenale.
"Devo fare i compiti"
"Li fai dopo"
Erano le 2 del pomeriggio e io, quel giorno, rincasai alle 8.
Da lì in avanti la scena si ripete', per i successivi 5 anni. Ogni tanto qualcuno mi lanciava dei sassolini alla finestra, per attirare la mia attenzione. Non so come, il vetro non venne mai giù.

Ho un altro ricordo. Pur abitando in un quartiere benestante, quasi nessuno aveva il pallone.
I pochi fortunati erano: i fratelli Barbieri, Sartori e il Check.
I Barbieri erano odiosi e scarsi. Nessuno passava loro la palla, ma siccome la palla era loro, ogni tanto se ne andavano indignati, portandosela via. Se invece resistevano, appena arrivava uno col pallone, venivano gentilmente invitati ad andarsene. Non era facile per i Barbieri la vita al campetto..
Spesso, quando mi invitavano a scendere, il pallone non c'era. Ma non era un problema, si andava dal Chek o da Sartori a prenderlo.
A ripensarci sono cose incredibili...
Ricordo che all'entrata di casa Sartori c'era un tappetino marrone con la sagoma di due piedoni umani. Sartori la palla non la negava mai. Un generoso.
A casa del Chek, invece, lui lo si trovava raramente, ma in compenso c'era la taciturna sorella, che la palla la prestava. "Riportatela" l'unica raccomandazione.
Le cose coi palloni cambiarono nel 1978 con i mondiali di Argentina. Naque Tango, un pallone di gomma che non volava o si bucava alla prima occasione. Quando la palla mancava, si faceva una colletta e si andava da Cassetta a comprarla. Tango significò 2 cose: l'esilio dei fratelli Barbieri (di loro si sono perse le tracce) e la scoperta di un colpo tecnico fino ad allora proibito.
Mi riferisco al colpo di testa. Coi palloni del Chek e di Sartori, infatti, la zuccata avrebbe significato una lussazione cervicale. I palloni di cuoio pre tango (oltre ad essere ovalizzati) erano mattoni saldamente incollati al suolo. Si giocava tutto rasoterra. Ogni palla alta doveva essere stoppata per essere rigiocata. Se qualche temerario azzardava un colpo di testa, veniva applaudito per mezz'ora. "Ecco uno coi coglioni..." si diceva.

All'epoca borgo Trento era un quartiere vivissimo, densamente abitato. Le partite alle 2 disturbavano il riposo pomeridiano dei residenti. La più avvelenata era la madre di Paolo, il tabaccaio di via IV Novembre. Una volta arrivò a requisire il pallone volato oltre la rete (allora bassa). Uscì, all'improvviso da un pertugio, e lo portò via. Come la strega cattiva. Ovviamente era il pallone dei Barbieri, che (fatalità) erano suoi coinquilini.

Un giorno il campetto venne ristrutturato. Fu recintato con le protezioni altissime che ci sono ancora oggi. Furono messe porte regolari, esagerate per un campo ridotto, ma che permettevano anche ai più scarsi di cacciarla dentro, con una certa frequenza.
Le porte furono dotate di reti che resistettero poche ore.
Fu l'inizio di una nuova era.
Brevissima.
Sempre meno bambini vennero al mondo nel quartiere di Borgo Trento e sempre più cani presero il loro posto, nelle case.
Ora il campetto è cosa loro.
 
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