In quegli anni, il lunedì non si rappresentavano opere liriche in Arena. La giornata era quindi dedicata o a dei concerti, cui erano invitate grandi orchestre provenienti dall’estero; o a dei recital, solitamente appannaggio di vecchie glorie. Io non saltavo un lunedì. Primo perché mi piaceva fraternizzare con persone che venivano da paesi stranieri; secondo perché nei recital non era raro assistere a bizzarre rappresentazioni e, infine, perché la paga era il triplo degli altri giorni.
Non tutti gli stranieri, a dire il vero, erano simpatici. Ad esempio gli scozzesi erano odiosi. Gente schiva, che non familiarizzava con nessuno. I nostri colleghi portastrumenti, una volta finito il lavoro, cercavano un pub che riproducesse il loro mondo casalingo e non si facevano rivedere fino al termine dello spettacolo.
Ho un bel ricordo, invece, delle orchestre che venivano dall’est. Parliamo, naturalmente, di periodo pre caduta del muro, epoca in cui il divario tra occidente e “oltre cortina” era profondo. Il tir che trasportava gli strumenti di questi ostaggi del blocco comunista, veniva stipato di merce acquistata nei nostri supermercati per il viaggio di ritorno. Ricordo i polacchi. L’orchestra arrivava in corriera, non in aereo, un viaggio massacrante. Tre musicisti su quattro erano donne, tutte pallide e segaligne che, nel poco tempo libero a loro disposizione, facevano incetta di olio di semi. Potavano via confezioni in plastica da 5 litri, probabilmente molto più conveniente del loro. Mi domandavo dove lo trovassero…
Gente triste, malinconica, i polacchi. I russi, invece, erano di ben altra razza. Restai stupito dalla loro simpatia. Me li immaginavo personaggi depressi come la loro economia e introspettivi come i personaggi di Dostoevskij invece si dimostrarono dei gran compagnoni casinisti. A differenza dei polacchi, i russi la merce la esportavano. Ricordo la mattina che arrivarono. Aiutammo i colleghi portastrumenti a scaricare il camion. Erano in due, uno dei quali un piccoletto stempiato, sosia di Bob Hoskins. Ben presto capimmo che l’ometto era il vero leader di tutta la spedizione, l’uomo cui la delegazione aveva affidato il compito di arrotondare i loro magri stipendi. Familiarizzò subito con Ivo, il nostro agente ad Odessa, col quale si mise a parlare russo. Poche ma precise disposizioni dopo, una volta ricoverate le casse degli strumenti, Ivo ci riunì con Bob nello stanzone dei contrabbassi. Venne chiusa la porta. L’atmosfera si fece cospiratoria. Ivo fece un cenno a Bob che aprì le due ante della custodia in legno di un contrabbasso (due metri d’altezza per uno di profondità). Rimanemmo a bocca aperta! All’interno, non si trovava lo strumento ma un vero e proprio bazar. Icone, bottiglie di vodka, lattine di caviale, orologi, spilline dell’ex unione sovietica, cappellini militari, cannocchiali, binocoli, anfibi... Il cassone era letteralmente stipato di merce.
Ivo ci disse che quello che vedevamo poteva essere nostro a prezzo di favore, se solo avessimo procurato altra merce in cambio. “Va bene, cosa vogliono?” domandammo, già pensando all’olio di semi... “Giornali porno” rispose Ivo. Sì, niente a che fare con i polacchi… Il compito di reperire le riviste fu affidato a quelli che furono giudicati i più esperti in materia: io e Livio. Nel giro di un paio d’ore ne recuperammo più di cinquecento che Bob mise al sicuro come si fosse trattato di una preziosa reliquia. Ivo mi spiegò che in Russia le avrebbero rivendute a peso d’oro. Per me, dal bazar, scelsi 3 confezioni di caviale Malossol da 125 grammi, nella loro inconfondibile latta blu. Mi costarono 25.000 lire l’una. Da SPEGA, all’orologio della Brà, costavano dieci volte tanto. Un acquisto indovinato. Volevo rivenderle ma me le mangiai tutte e tre. Nella mia vita, sino ad allora avevo assaggiato solo il succedaneo del caviale, le inquietanti uova di lompo; solitamente servite su pan carré stantio. Accontentati noi, le vendite furono aperte al pubblico, ovvero le altre maestranze areniane che avevamo allertato con discrezione. Tutta la merce venne venduta nel giro di un’ora, per la gioia di Bob Hoskins e di chi rappresentava. Ancora non lo sapevamo, ma rappresentava l’avanguardia di una marea montante che, dopo il crollo del comunismo, avrebbe preso d’assalto l’Italia. Prima passando dalla truculenta Rimini; poi, correggendo il tiro, frequentando i posti più esclusivi e la page d’Italia. Eh sì, i russi stanno stare al mondo e il sesso hanno finito per esportarlo in carne e ossa.
Un dubbio mi è sempre rimasto, però. Chi era il contrabassista che aveva lasciato a casa il suo strumento? E come ne aveva giustificato l’assenza, una volta a Verona? Il direttore d’orchestra non si accorgeva che non era in buca? Credo che quella cospirazione avesse diramazioni che arrivavano molto, molto in alto.